Elisabetta Gnone

Addio, Fairy Oak. Fairy Oak

Non so descrivere bene la sensazione che provo quando leggo di Fairy Oak. È un po' come essere avvolti da una calda coperta in una notte d'inverno con una bufera che infuria fuori dalle finestre, o come bere quella tazza di tè caldo tanto attesa ai primi segnali del freddo ottobrino. Ogni parola di questa saga è conforto e magia, e sono onestamente sorpresa che Elisabetta Gnone non sia conosciuta e celebrata quanto altri autori stranieri di libri per ragazzi, ma anche un po' contenta che noi italiani ci possiamo tenere questa piccola perla per noi. Anche perché al di là dei contenuti, la prosa stessa è davvero incantevole: non ho mai letto nessun libro che fluisse così bene ma che mi facesse anche fermare ogni tanto per sgranocchiare certe parole, così ordinarie, ma così belle nella loro ordinarietà.
Dire addio a Fairy Oak è oltremodo difficile, soprattutto con un finale del genere. Che ne sarà di Felì? Come reagiranno Vaniglia e Pervinca sapendo che la loro fata se n'è andata senza salutarle un'ultima volta? Parte della tristezza è la consapevolezza che come sono cresciute le gemelle, come Felì se n'è andata e ha deciso di "chiudere" il capitolo di Fairy Oak, anche a noi che siamo cresciuti con questa saga tocca dire addio, e non solo a Fairy Oak, ma un po' anche alla nostra infanzia. La si saluta con un sapore dolce-amaro in bocca, un senso di inquietudine per il futuro, e gratitudine per quello che ci è stato dato.
Penso che il più grande errore dell'editoria italiana sia ridurlo a un libro per bambini, perché questa è una lettura che può dare tantissimo anche agli adulti. E penso anche che se tutti noi fossimo un po' più come gli abitanti di Fairy Oak, il mondo sarebbe un posto migliore.

Addio, Fairy Oak. Fairy Oak

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