La nuova frontiera
«La nuova frontiera» non è solo la formula – memorabile – nella quale John F. Kennedy decise di racchiudere il senso e la sfida della sua presidenza. Quando, nel luglio del 1960, la pronunciò per la prima volta, l’America si trovava in un passaggio difficile della sua storia, non tanto per i rischi di una perdita della supremazia strategica, in un mondo dominato dalla guerra fredda, quanto per una sorta di insicurezza, di calo di fiducia nel proprio potenziale e nei propri destini. A essere chiamata in causa era la dimensione della storia americana, la sua connaturata necessità di tendere verso nuovi obiettivi e nuove conquiste, pena l’insuccesso e la sconfitta. Un benessere materiale più solido e più largamente distribuito, una più forte acquisizione dei diritti e delle libertà di tutti, un abbattimento delle barriere e delle discriminazioni razziali, e in fin dei conti la disponibilità di ciascun americano a prendere sulle sue spalle il proprio destino, erano i necessari presupposti senza i quali non avrebbe potuto funzionare, né trovare una sua legittimità, l’idea stessa di un modello americano da proporre al mondo. Tra i discorsi e gli scritti raccolti in questo volume – tutti concepiti nel brevissimo torno di anni intercorsi tra la candidatura di Kennedy alla Casa bianca e la fine tragica a Dallas – spicca non solo il fascino di una retorica dell’America civile che ha trovato in Kennedy forse il suo più abile rappresentante (e che solo Obama ha mostrato di saper emulare). È il concetto di storia come processo aperto e sottoposto, in ultima istanza, alla responsabilità democratica di tutti i suoi attori: è la fiducia nella superiorità della democrazia sul dispotismo. Ed è la convinzione – magistralmente espressa nel pamphlet Una nazione di immigrati, per la prima volta qui tradotto in italiano – che sono le diversità a fare la qualità dell’America, che la sua forza si esprime proprio in ragione del carattere composito del suo aggregato. Gli immigrati sono l’America, ci ricorda Kennedy con una forza argomentativa incontrovertibile. Pensiero che suona, dopo cinquant’anni, fortissimo – e scomodo – all’orecchio delle nostre incupite paure di vecchi europei. John F. Kennedy nacque a Brookline, Massachusetts, nel 1917, secondogenito di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald, membri di due tra le famiglie più in vista di Boston. L’origine irlandese e la stretta osservanza cattolica della famiglia segnarono la sua prima formazione. Nel 1936 si iscrisse all’Università di Harvard, dove conseguì, nel 1940, una laurea cum laude in International Affairs. Scoppiata la guerra, nonostante una grave malattia alla spina dorsale, fu arruolato in Marina, dove assunse il comando di una motosilurante. Il 2 agosto 1943 la sua nave fu speronata da un cacciatorpediniere giapponese, e Kennedy si adoperò per portare in salvo i suoi marines, meritandosi sul campo una medaglia. Qundo il fratello primogenito Joseph Jr.morì in un’azione di guerra, tutte le ambizioni politiche della famiglia si concentrarono su John. Membro del Congresso per il Partito democratico nel 1946, nel 1952 conquistò un seggio di senatore. Nel 1953 sposò Jacqueline Bouvier, anche lei figlia di una delle famiglie più importanti d’America. Nel 1957 Kennedy pubblicò il libro Profiles in Courage, che vinse il premio Pulitzer per le biografie. L’anno successivo pubblicò il pamphlet A Nation of Immigrants. A gennaio del 1960 Kennedy lanciò la sua candidatura per la presidenza degli Stati Uniti. Vinte inaspettatamente le primarie, il 13 luglio fu nominato candidato del Partito democratico. In settembre, si confrontò con il repubblicano Richard Nixon nel primo duello televisivo per la conquista della presidenza, la cui vittoria fu da tutti considerata determinante ai fini del successo finale, ottenuto, di strettissima misura, l’8 novembre. Assunta la carica il 20 gennaio 1961, il presidente dovette gestire una delicatissima contingenza internazionale: nell’aprile 1961 Kennedy patrocinò lo sbarco a Cuba, presso la Baia dei porci, di 1500 esuli cubani contrari al regime di Fidel Castro – sbarco risoltosi in un clamoroso fallimento; l’anno successivo, aerei spia americani rilevarono che i sovietici stavano costruendo una base missilistica a Cuba; ne nacque la «crisi dei missili», che portò il mondo sull’orlo di un conflitto nucleare; degli stessi mesi furono la decisione di intensificare il programma per la conquista dello spazio e quella di intervenire direttamente nel conflitto vietnamita; nel frattempo Kennedy si adoperò a sottolineare il valore della difesa della libertà di Berlino ovest, accerchiata dal Muro che il regime comunista le aveva costruito intorno. Superata la fase più dura dello scontro, con i sovietici furono poi avviate concrete trattative, che inaugurarono la riduzione bilanciata degli armamenti. Il 22 novembre del 1963 Kennedy cadde vittima di un attentato tragico e tuttora oscuro. Lee Harvey Oswald, accusato dell’omicidio e catturato, fu a sua volta ucciso, due giorni dopo, da Jack Ruby. La Commissione Warren concluse che Oswald aveva agito da solo; tuttavia nel 1979 il Committee on Assassinations dichiarò che si era trattato di una cospirazione.