Il porto delle nebbie

Il porto delle nebbie

«Una donna disposta a sfruttare se stessa, corpo e anima, senza restrizioni, senza scrupoli morali e senza misticismo, è una forza della natura paragonabile al­l'elettricità, di cui si governano i capricci senza mai penetrarne il mistero originario»: è questa, per quanto «scandalosa» e «immorale» possa sembrare (e al­l’e­poca la stampa non mancò di rimarcarlo), la conclusione alla quale giunge l'autore sulla soglia dell'epilogo del "Porto delle nebbie". Ma tant'è: dei cinque personaggi che il destino fa incontrare, una notte di neve, in una bettola di Mont­martre (quel Lapin Agile che solo molti anni dopo diventerà famoso), l'unica a cavarsela davvero sarà Nelly, la fille de cabaret «al tempo stesso candida e furba» che finora non ha fatto altro che passare «attraverso l'esisten­za come una foglia morta, una foglia bionda spazzata dal vento». Al termine della memorabile notte trascorsa al Lapin Agile, dove sono stati costretti ad affrontare a colpi di pistola una banda di malviventi acquattati nel buio, i quattro uomini – il giovane squattrinato che aspetta un'avventura da «acchiappare al volo», il disertore della marina coloniale, il pittore tedesco che intuisce la presenza della morte nei luoghi che dipinge e l'inquietante macellaio dalle «terribili mani» – si avvieranno tutti verso un destino variamente funesto, mentre Nelly andrà incontro alla vita con passo da «conquistatrice». È stato Céline, nel 1938, a scrivere su Mac Orlan parole de­finitive: «Aveva già visto tutto, capito tutto, inventato tutto».
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