La pupa di zucchero
Pietro, un cinquantenne geniale, pensatore, filosofo, non è affatto votato al culto patriarcale della “roba” della sua famiglia, i ricchissimi Branciforti, di cui eredita anche la fiorente tonnara dell’Isola delle Correnti, dove il sole non muore mai e la luna fatica a trovare un posticino in cui splendere ogni tanto. Con lucida premeditazione Pietro smantella la tonnara, la rende infruttuosa, facendo di quell’agonia apparente il suo unico progetto di vita, cambiamento e rinascita, non facile ma forse possibile. In quel contesto immobile in cui accumulare “roba” significa essere qualcuno, però, lui è per tutti un inetto, una disgrazia immeritata per la sua famiglia. Quell’inettitudine è invece un perfezionato talento, che trova nell’amico e coetaneo Bruno – brillantissimo affarista, come quel patriarca Branciforti di cui è per incesto il figlio negato – un contestatore apparente ma anche un appassionato interlocutore. Fra le due tesi – accumulare o dissipare – non ci sarà un vincitore: a vincere sarà l’inoppugnabile certezza del nanismo degli esseri umani, creature fragili come una pupa di zucchero che, gigante a vedersi, si disintegra in mille cocci per un semplice soffio di vento.