Alla luce del sole

Alla luce del sole

La preziosa stoffa del narratore, di quel grande affabulatore che è Vincenzo Cerami, si ritrova nei mille rivoli e nella folla di sentimenti che percorrono queste poesie, Alla luce del sole. Cerami è volta a volta cupo, solare, aggressivo, gioioso, risentito, tenero... Vive con passione nel presente, ma porta in sé il senso debordante di un passato carico di eventi e storie, di circostanze ritagliate da una memoria personale sempre attiva. Eppure, ci dice, in versi di singolare energia concreta: «la memoria è una casa inabitabile / con tartarughe morte, orologi rugginosi, / tovaglie di perline stinte, trottole / di legno marcito, sedie rovesciate, / stemmi caduti dal chiodo, e una panca / rimasta intatta, di legno greggio». Un campionario di residui, di oggetti ai quali il poeta peraltro non vuole affatto solo abbandonarsi, lontanissimo com'è da ogni possibile cedimento crepuscolare. E infatti afferma: «Ogni mattina di me amo i più remoti futuri / e a sera rimpiango i futuri remoti». Insomma, questi nuovi versi di Cerami sono attraversati da una vitalità quanto mai intensa, anche se il suo è sempre un atto d'amore, nei confronti della vita, perfettamente consapevole della sua provvisorietà, del suo rapido andarsene: «ho bisogno d'olezzo di morte / per parlare della vita». La quale, del resto, è da lui intesa come «tabula lusoria», e dunque come un formidabile quanto sempre rischioso puzzle, come un gioco senza soste fino al definitivo alt. Un gioco che nel suo testo si svolge in una notevole varietà ambientale, anche se Roma ne è pur sempre lo scenario maggiore. E con una ricca varietà di personaggi, a volte affioranti come interlocutori muti, come ombre o semplici comparse, a volte riemersi dal passato degli affetti, come nella emozionante sezione intitolata Padri. A volte, invece, sono figure proposte nell'affermarsi della loro presenza stagliata, come nel gioco e nell'abilità atletica e nei salti mortali di un personaggio - atleta, acrobata, artista - che replica la grandezza di Faillo di Crotone, il vincitore dei Giochi Pitici. Cerami si muove dunque con estro sempre aperto, generosissimo, servendosi di ritmi e forme metriche diverse, realizzando un libro di non comune potenza comunicativa, concluso con un poemetto di dolente affetto antiretorico sulle meraviglie e lo scempio del nostro paese, della nostra Italia.
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