Una visione
«Il pomeriggio del 24 ottobre 1917, quattro giorni dopo che mi ero sposato, rimasi stupito nel vedere mia moglie che tentava la scrittura automatica. Ciò che veniva fuori in frasi staccate, in una grafia quasi illeggibile, era così esaltante, a volte così profondo, che la convinsi a dedicare tutti i giorni una o due ore all’ignoto scrittore, e dopo una mezza dozzina di queste ore mi offersi di passare il resto della mia vita a spiegare e a mettere insieme quelle frasi sparse. “No,” fu la risposta “noi siamo venuti a darti metafore per la poesia”». È questo l’inizio della ‘esperienza incredibile’ del grande poeta irlandese W.B. Yeats, che culminò anni dopo nella stesura di «Una visione». Al periodo della scrittura automatica seguì, a distanza di qualche mese, la comunicazione orale dei misteriosi ‘istruttori’, che parlavano ora attraverso la voce della donna addormentata. Yeats trascriveva ciò che udiva e interrogava incessantemente. Col tempo venne a delinearsi un sistema complesso e minuzioso, una rivelazione ermetizzante, che illuminava la cosmologia e la storia mediante diagrammi simbolici e uno schema di ’incarnazioni’ corrispondenti alle ventotto fasi della luna, ruota dove si iscrive ogni esperienza umana, dall’infima alla suprema: per ognuna di esse Yeats ci offre dei personaggi esemplari, scelti nell’immensa riserva della storia – fra gli altri, Whitman, Spinoza, Keats, Flaubert, la regina Vittoria –, ai quali dedica ogni volta un ritratto di preziosa acutezza. Ma la sorprendente genesi di questo libro non si differenzierebbe di molto dalle tante vicende spiritiche e occulte che invasero il mondo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, se non fosse che qui è coinvolto W.B. Yeats, non solo grande poeta e uno tra i fondatori della poesia moderna, ma teorico dei sovrani poteri formali dell’arte. Di fatto, a lui, i misteriosi ‘istruttori’ non offrono le usuali banalità che fanno saltare i tavolini, ma ‘metafore’ per un maestro della metafora, una macchina mitica di cui egli, giunto sulla soglia della fase ultima e più ricca della sua opera di poeta, sente fortemente l’esigenza. «Una visione» ci mostra appunto come l’intervento degli ignoti Altri provochi un processo di potente condensazione delle idee e della sensibilità di Yeats, che qui sembrano fissarsi in una forma imprevedibile, eppure del tutto coerente con la sua persona. D’altra parte, fra l’occulto e la letteratura esistette per Yeats, fin dall’inizio, un vivacissimo scambio, che fu in ogni momento ambiguo, e «Una visione» non vale certo a risolvere questa ambiguità: anzi, infiltrando nel grandioso insieme un elemento grottesco e di patafisica comicità, bilanciando a ogni passo riverenze e insolenze, Yeats ci fa intendere che certamente sbagliate sono proprio le due prime soluzioni a cui il lettore può pensare, e cioè che l’elemento occulto sia riconducibile immediatamente all’artificio letterario oppure che qui la letteratura si pieghi a diventare veicolo dell’occulto. Ben più inquietante è il fondo di quest’opera, in cui si ritrova uno dei paradossi dell’arte moderna, per cui molto del più rigoroso formalismo si è sviluppato dal più contaminato occultismo (basti pensare ai casi di Kandinsky e di Schönberg). Yeats aveva di ciò chiara coscienza e, nell’introdurre questa sua opera eccentrica, dove però aveva descritto il meccanismo che è al centro della sua poesia, accennò al segreto che vi si cela: «Le Muse sono simili a donne che di notte escono di nascosto e si concedono a marinai sconosciuti e poi tornano a parlare di porcellane cinesi».