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Dopo un anno ritorno da Goethe, da quello stesso Goethe che mi ha tormentata per settimane infinite con il suo Werther, da quello stesso scrittore che mi è stato vicino e mi ha fatto compagnia con le sue parole sincere, profonde, sensibili. Ho fatto ritorno tra le braccia di Goethe dopo un anno esatto e, dopo un anno esatto, continuo ad amarlo e ad essergli amica. Il suo romanzo, anche questa volta, mi è stato un amico leale e, forse, persino più di un amico: esso è stato per confidente e - per citare Kafka - esso è stato per me il coltello col quale frugare dentro me stessa. Ho forse capito meglio l’amore, l’essere affini, affinità, ma, soprattutto, l’essere affinità elettive. - rapporti umani = rapporti chimici - così ho goffamente, ingenuamente, rozzamente scritto a matita a margine di una pagina di questo romanzo. Perché anche noi siamo fatti di elementi chimici, noi siamo chimica, ed è dunque la chimica che ci attrae gli uni con gli altri. Ho amato questo libro, l’ho amato e me ne sono presa cura tanto quanto, spero, lui abbia avuto cura di me, del mio cuore giovane e colmo di sogni e di speranze, del mio cuore innamorato dell’amore e del romanticismo, e della mia anima forte e fragile a un tempo, cauta e avventata, pacata ed irruente. Goethe si è, un’altra volta, preso cura di me con la più totale delicatezza e gentilezza. Goethe ha sempre cura di me, si pena per e con me, mi aiuta a gioire e a piangere, a morire e a rinascere. Questo scrittore è la mia medicina, così lo sono i suoi romanzi e questo, questo breve e immenso romanzo, è una autentica professione d’amore incondizionato e puro.




