
Reviews

** spoiler alert ** Ho finito questo libro alle 02:02 di domenica 29 agosto 2021. Gli occhi sono umidi, probabilmente arrossati per il pianto. Le guance sono bagnate e rigate dalle lacrime che ho versato. Il piede destro non smette di muoversi agitato così come si è mosso mentre piangevo e così come continuerà a muoversi ogniqualvolta ripenserò al motivo del mio pianto breve, ma rovente. Sì, mi ha fatto male. L’ultima parte, la settima, “Il sorriso di Karenin”, mi ha fatto un male terribile. La mia intenzione era quella di chiudere il libro, di finirlo quando mi fossi risvegliata a notte terminata, ma come poter chiuderlo? Come chiuderlo nel bel mezzo del pianto? Sottolineavo con le mani tremanti e le lacrime agli occhi; interrompevo la lettura per la vista accecata da quelle stesse lacrime non ancora versate che mi impedivano di leggere le parole. Ma andiamo in ordine, partiamo dal principio. Ho cominciato questo romanzo per cambiare aria, per partire, prendere un aereo per andare in un posto a me completamente sconosciuto: la Boemia. Ho cominciato senza sapere cosa aspettarmi, senza comprendere il significato del suo titolo famoso. Ora l’ho capito il significato. Ma non è questo il momento per parlarne. Ho cominciato la lettura e lette le prime righe non avrei immaginato che avrebbe potuto raccontare la storia che invece ha raccontato. Ringrazio Dio per avermi fatto iniziare ignara di tutto e per avermi fatto continuare solo per curiosità. Al centro di tutto ci sono loro, Tereza e Tomàs. Si sono conosciuti al bar in cui lavorava Tereza e si sono guardati solo per una serie di coincidenze. Tereza, d’altronde, per Tomàs rimarrà sempre la donna nata dalle sei coincidenze. È lei, la barista che gira per le strade di Praga sempre con un libro sottobraccio per sentirsi e mostrarsi diversa da quelli che le camminano accanto. Ed è lui, un rinomato chirurgo destinato a diventare primario di chirurgia del suo ospedale, cosa che però non avverrà mai. Tra loro nasce una storia di passione e tradimenti continui, una storia tormentata e malata che l’autore, attraverso Tereza, paragona più volte a quella di Anna e Vronskj; una storia fondata esclusivamente sulla certezza e sulla costanza della fedeltà e dell’onestà di lei, giacché lui è il più libero dei libertini, con amanti sparse per tutta Praga e con circa duecento donne all’anno. Tra esse ce n’è però una in particolare, Sabina, pittrice intollerante al comunismo i cui quadri sono sempre gli stessi: una tela squarciata da cui s’intravede un paesaggio diverso da quello rappresentato sulla tela. Per Tomàs è impossibile rinunciare alle donne, al piacere e al tradimento, ma gli è anche impossibile rinunciare all’amore per Tereza, con la quale si sposa e rimarrà sposato fino alla morte di entrambi loro. Lei, cosciente dei suoi tradimenti, li sopporta, ci convive e cerca di neutralizzarli senza successo. Ad accompagnare la coppia per dieci anni è un cane, una cagnolina femmina regalata a Tereza da Tomàs per tentare di riempirle il vuoto lasciato dal tradimento onnipresente. La cagnolina è Karenin - così chiamata dal momento che, quando si sono conosciuti, Tereza aveva sottobraccio Anna Karenina - ed è lei e solo lei il motivo delle mie lacrime. Parallelamente alla loro, seppur per una durata minore, vi è la storia tra Sabina e Franz, un giovane professore universitario che, come Tomàs, tradisce la moglie. Pare, come l’ha definita Calvino, la stessa situazione che si crea nelle Affinità Elettive di Goethe, seppure con esiti diversi e ruoli differenti. È il 1968 e Praga viene occupata dai carri armati russi. Su questo sfondo storico i protagonisti vivono e cambiano, sopportano la pesantezza in cerca della leggerezza dell’essere, senza riuscire però a trovarla. Uno sfondo tragico dannatamente reale che si ritorce contro gli stessi protagonisti, obbligati ad emigrare a Zurigo. Tomàs non può più svolgere la professione di chirurgo, diventa un lavavetri e trova dunque amanti nuove ogni giorno, e la storia con Tereza sembra precipitare. I due, però, non si lasceranno mai, vanno a vivere in campagna e invecchiano insieme ed è qui che il mio pianto ha avito inizio. Karenin ha un tumore, è vecchia e condannata. “L’amore tra uomo e cane è idilliaco perché il cane non è stato cacciato dal Paradiso.” E come fare a non piangere dopo pagine e pagine di questo? Come fare a non piangere dopo pagine in cui viene mostrato l’amore più puro e sincero, quello del cane per l’uomo? Io non ce l’ho fatta. Io ho pianto mentre Karenin poggiava il muso sulle ginocchia di Tereza, mentre smetteva di giocare con Tomàs, di tenere il proprio panino in bocca; ho pianto mentre la sopprimevano, mentre le preparavano la tomba, mentre Tereza le sussurrava che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbe sofferto più; ho pianto sentendomi lo sguardo addosso colmo di fiducia incondizionata di Karenin, mentre smetteva di respirare e ci lasciava per sempre. Io non ce l’ho fatta. Io ho pianto, mi sono lasciata andare. E anche adesso, scrivendo e rivivendo quelle scene per me fatali, mi salgono le lacrime agli occhi minacciando di lasciarseli alle spalle un’altra volta e di scendere giù veloci sulle ripide colline che sono le mie guance. L’essere umano ha fallito, è vero. “L’uomo ha fallito quando costringe gli animali a diventare macchine animate” dice l’autore. Dio, mai c’è stata frase più vera. Quindi? Quindi questo non è niente in confronto a tutto quello che ho provato, è solo un assaggio, ma credo sia sufficiente. Mentre leggevo i primi capitoli mi dicevo: “Bello, sì, ma non eccezionale.” Oggi, finita la lettura, dico: “Non bello, ma eccezionale.”














Highlights

È un amore disinteressato: Tereza non vuole nulla da Karenin. Non vuole nemmeno l'amore. Non si è mai posta quelle domande che torturano le coppie umane: mi ama? ha mai amato qualcuna più di me? mi ama più di quanto lo ami io? Forse tutte queste domande rivolte all'amore, che lo misurano, lo indagano, lo esaminano, lo sottopongono a interrogatorio, riescono anche a distruggerlo sul nascere. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l'amore) dall'altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza.

Tereza continua ad accarezzare la testa di Karenin che riposa tranquillamente sul suo grembo. Dentro di sé fa più o meno questo ragionamento: Non c'è alcun merito a comportarsi bene verso il prossimo! Tereza è costretta a essere corretta nei confronti degli altri contadini perché altrimenti non potrebbe vivere nel villaggio. E persino nei confronti di Tomáš deve comportarsi con amore perché ha bisogno di Tomáš. Non potremo mai stabilire con certezza fino a che punto i nostri rapporti con gli altri sono il risultato dei nostri sentimenti, del nostro amore, del nostro non-amore, della nostra bontà o del nostro rancore e fino a che punto sono condizionati dal rapporto di forze tra gli individui.
La vera bontà dell'uomo si può manifestare in tutta purezza e libertà solo nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza. Il vero esame morale dell'umanità, l'esame fondamentale (posto così in profondità da sfuggire al nostro sguardo) è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell'uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri.

Non c'è nulla di più commovente delle mucche che giocano. Tereza le guarda con tenerezza e si ripete (quest'idea le ritorna irresistibilmente in mente già da due anni) che l'umanità sfrutta le mucche come il verme solitario sfrutta l'uomo: si è attaccata alle loro mammelle come una sanguisuga. L'uomo è un parassita della mucca; questa è probabilmente la definizione che un non-uomo darebbe dell'uomo nella sua zoologia.
Possiamo considerare questa definizione una semplice battuta e riderne con indulgenza. Ma se Tereza la prende sul serio, si viene a trovare su un piano inclinato: le sue idee sono pericolose e la allontanano dall'umanità. Già nella Genesi, Dio aveva affidato all'uomo il dominio sugli animali, ma possiamo anche intendere che quel dominio gli è stato dato solo in prestito. L'uomo non era il padrone ma soltanto l'amministratore del pianeta e un giorno dovrà render conto della sua gestione.

Subito all'inizio della Genesi è scritto che Dio creo l'uomo per affidargli il dominio sugli uccelli, i pesci e gli animali. Naturalmente la Genesi è stata redatta da un uomo, non da un cavallo. Non esiste alcuna certezza che Dio abbia affidato davvero all'uomo il dominio sulle altre creature. È invece più probabile che l'uomo si sia inventato Dio per santificare il dominio che egli ha usurpato sulla mucca e sul cavallo. Sì, il diritto di uccidere un cervo o una mucca è l'unica cosa sulla quale l'intera umanità sia fraternamente concorde, anche nel corso delle guerre più sanguinose.
Questo diritto ci appare evidente perché in cima alla gerarchia troviamo noi stessi. Ma basterebbe che nel gioco entrasse una terza persona, ad esempio un visitatore da un altro pianeta, il cui Dio gli abbia detto: «Regnerai sulle creature di tutte le altre stelle!», e tutta l'evidenza della Genesi diventerebbe di colpo problematica. Un uomo attaccato a un carro da un marziano, o magari fatto arrosto da un abitante della Via Lattea, si ricorderà forse della cotoletta di vitello che era solito tagliare nel suo piatto e chiederà scusa (in ritardo!) alla mucca.

Quando ero piccolo e sfogliavo il Vecchio Testamento raccontato ai bambini e illustrato con le incisioni di Gustave Doré, vi vedevo il Signore Iddio su una nuvola. Era un vecchio, con gli occhi, il naso e una lunga barba, e io mi dicevo che se aveva la bocca doveva anche mangiare. E se mangiava, doveva anche avere gli intestini. Quell'idea mi faceva venire subito i brividi perché io, pur appartenendo a una famiglia più o meno atea, sentivo che l'idea degli intestini di Dio era una bestemmia.
Senza alcuna preparazione teologica, spontaneamente, capivo quindi già da bambino l'incompatibilità tra la merda e Dio e, di conseguenza, anche la discutibilità della tesi fondamentale dell'antropologia cristiana secondo la quale l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. O l'uno o l'altro: o l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e allora Dio ha gli intestini, oppure Dio non ha intestini e l'uomo non gli assomiglia.
Gli antichi gnostici lo sentivano con la stessa chiarezza con cui lo sentivo io a cinque anni. Per risolvere questo problema maledetto, Valentino, grande maestro della Gnosi del secondo secolo, sosteneva che Gesù «mangiava, beveva, ma non defecava».
La merda è un problema teologico più arduo del problema del male. Dio ha dato all'uomo la libertà e quindi, in fin dei conti, possiamo ammettere che egli non sia responsabile dei crimini perpetrati dall'umanità. Ma la responsabilità della merda pesa interamente su colui che ha creato l'uomo.

La domanda può essere formulata anche in questo modo: è meglio gridare e accelerare così la propria fine? Oppure tacere e guadagnarsi un'agonia più lenta?
Ma esiste poi una risposta a queste domande? E di nuovo gli venne in mente un'idea che noi già conosciamo: la vita umana si svolge una sola volta e quindi noi non potremo mai appurare quale nostra decisione sia stata buona e quale cattiva, perché in una data situazione possiamo decidere una volta soltanto. Non ci viene data una seconda, terza o quarta vita per poter confrontare diverse decisioni.

E ancora una volta lo vedo così come mi è apparso all'inizio del romanzo. È alla finestra e guarda nel cortile il muro della casa di fronte.
È l'immagine dalla quale egli è nato. Come ho già detto, i personaggi non nascono da un corpo materno come gli esseri umani, bensì da una situazione, da una frase, da una metafora, contenente come in un guscio una possibilità umana fondamentale che l'autore pensa nessuno abbia mai scoperto o sulla quale ritiene nessuno abbia mai detto qualcosa di essenziale.
Ma non si dice forse che un autore non può parlare che di sé stesso? Guardare impotenti nel cortile, senza sapere che cosa fare; sentire l'ostinato brontolio della propria pancia nell'attimo dell'esaltazione amorosa; tradire e non potersi fermare sulla bella strada dei tradimenti; alzare il pugno nel corteo della Grande Marcia; esibire il proprio umorismo davanti ai microfoni nascosti dalla polizia; tutte queste situazioni le ho conosciute e vissute io stesso, e tuttavia da nessuna di esse è sorto un personaggio che sia me stesso col mio curriculum vitae. I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. È proprio questo confine superato (il confine oltre il quale finisce il mio io) che mi attrae. Al di là di esso incomincia il mistero sul quale il romanzo si interroga. Un romanzo non è una confessione dell'autore, ma un'esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato. Ma basta! Torniamo a Tomáš.

Non era quindi il desiderio del piacere sessuale (il piacere era un'aggiunta, una sorta di premio), bensì il desiderio di impadronirsi del mondo (di aprire con il bisturi il corpo supino del mondo) ciò che lo spingeva a inseguire le donne.

Tomáš è ossessionato dal desiderio di scoprire e di impadronirsi di quel milionesimo e ritiene che in ciò risieda il senso della sua ossessione per le donne. Non è ossessionato dalle donne, ma da quello che in ciascuna di esse c'è di inimmaginabile, in altre parole, è ossessionato da quel milionesimo di diversità che distingue una donna dalle altre donne.

E si disse che la questione fondamentale non era: Sapevano o non sapevano?, bensì: Si è innocenti solo per il fatto che non si sa? Un imbecille seduto sul trono è sollevato da ogni responsabilità solo per il fatto che è un imbecille?

Fino allora, naturalmente, non se ne era resa conto e ciò è comprensibile: la meta che l'uomo persegue è sempre velata. La ragazza che desidera il matrimonio desidera qualcosa di cui non sa nulla. Il giovane che brama la gloria non ha alcuna idea di che cosa sia questa gloria. Ciò che dà un senso al nostro comportamento è sempre qualcosa che ci è totalmente sconosciuto.

Franz scuote la testa: «In una società ricca, la gente non è costretta a lavorare manualmente e si dedica all'attività intellettuale. Aumentano le università e aumentano gli studenti. Per potersi laureare, bisogna trovare argomenti per le tesi di laurea. Gli argomenti sono una quantità infinita perché è possibile scrivere tesi su ogni cosa al mondo. Risme su risme di fogli scritti si accumulano negli archivi, che sono più tristi dei cimiteri, perché non ci entra nessuno nemmeno il giorno dei morti. La cultura scompare nell'abbondanza della sovrapproduzione, nella valanga dei segni, nella follia della quantità. Ecco perché ti dico che un libro vietato nel tuo vecchio paese significa infinitamente di più dei miliardi di parole vomitati dalle nostre università».

Per Sabina vivere significa vedere. Il vedere è limitato da due confini: la luce forte che acceca e il buio totale. È forse questo a determinare in Sabina il disgusto verso qualsiasi forma di estremismo. Gli estremi significano i confini oltre i quali la vita termina, e la passione per l'estremismo, in arte come in politica, è un desiderio di morte mascherato.

Fintanto che le persone sono giovani e la composizione musicale della loro vita è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in comune e scambiarsi i temi (così come Tomáš e Sabina si sono scambiati il tema della bombetta), ma quando si incontrano in età più matura, la loro composizione musicale è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto, significano qualcosa di diverso nella composizione di ciascuno.

Era la vertigine. L'ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere.
La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso.

Chi tende continuamente «verso l'alto» deve aspettarsi prima o poi d'essere colto dalla vertigine. Che cos'è la vertigine? Paura di cadere? Ma allora perché ci prende la vertigine anche su un belvedere fornito di una sicura ringhiera? La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. La vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura.

Tomáš si diceva: fare l'amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L'amore non si manifesta col desiderio di fare l'amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un'unica donna).

«Einmal ist keinmal». Tomáš ripete tra sé il proverbio tedesco. Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l'uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto.